Un paio di anni fa fu annunciata come la più grande operazione di trasparenza mai avviata dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, il fantomatico Pin che avrebbe aperto ai cittadini italiani le porte troppo spesso kafkiane dell’Inps. Nei fatti si tramutò in un clamoroso boomerang amministrativo che crollò di sana pianta sulle spalle indifese dei call center chiamati in causa all’ultimo momento per far fronte alle miriadi di richieste di supporto pervenute dagli sprovveduti contribuenti, nella maggior parte dei casi troppo anziani per sapersi districare con agilità tra i tasti di una tastiera e i click di un mouse.
Perfino esperti del settore e professionisti preparati furono misi in crisi da un sistema informatizzato che rivelò in pochi mesi tutte le pecche di procedure non adeguatamente collaudate: ne nacque una lotta impari fra dottori commercialisti e bug invincibili, fra ragionieri commercialisti e operatori Inps poco preparati.
E proprio mentre credevamo di aver individuato nel commercialista telematico il terreno comune di scontro su cui sovvertire l’esito della dura battaglia, ecco il dietrofront del governo, che ha deciso di tornare al caro vecchio cartaceo, inviando a maggio (a chiunque non disponga ancora del PIN) una busta arancione con una simulazione della pensione futura sulla base delle regole imposte dall’ultima Riforma delle Pensioni, di quanto versato finora, della retribuzione attesa e della data presunta di ritiro dal lavoro.
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